Si può essere libertini/e, senza averne i mezzi? Nel Grande Secolo, la domanda si pone a malapena, perché la nobiltà conserva ancora il quasi monopolio di questo privilegio, tra tanti altri. Come dimostrano Kathryn Hoffmann, Alice Brown e Claire Quaglia, nei primi tre saggi di questo volume, la vera questione resta piuttosto come prendere la piena misura di questa opulenza aristocratica (tra la soggettività delle memorie letterarie e l’oggettività degli atti notarili), sia come dissimulare il suo libertinaggio senza passare per un volgare avaro. Nell’Illuminismo, tuttavia, il problema si complica quando anche il popolo inizia a offrirsi i mezzi per una vita libertina. Nei tre saggi seguenti, Julia Abramson, Eric Turcat e Denis Grêlé si interessano in particolare allo status della donna del popolo divenuta dama mantenuta (Manon Lescaut e Margot la Ravaudeuse) per misurare quanto la nuova borghesia, qui femminile, deve impegnarsi a monetizzare le risorse procurate dalla ricerca dei piaceri. Infine, con la rivoluzione industriale, anche l’ascesa del capitalismo non sembra comportare lo sviluppo proporzionale del libertinaggio. Come illustrano Encarnaciôn Medina Arjona e Giovanni Dotoli, negli ultimi due saggi, il trionfo dell’argento non garantisce gli stessi godimenti, anche all’interno di una famiglia così ricca come quella dei Rougon, Poiché anche la figura, peraltro ritenuta libertina del poeta maledetto, preferirà ancora la sofferenza paracletica della mancanza di denaro a quella di un edonismo umano, troppo umano.
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133 – L’argent du libertinage
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