Impegnare l’apparato critico sempre più proliferante che presumibilmente illumina il testo postcoloniale è incontrare invocazioni di uno spazio indefinibile, pieno di equivoci, resistente alla consonanza, alla calibrazione o alla risoluzione e, come tale, sotteso da intralci irrevocabili. Il discorso narrativo portato da questo incontro può solo addurre una o un’altra variante di ignominiosa sconfitta. Nell’ottica così offerta, il labirinto che è « l’esperienza postcoloniale » è in uno stato costante di flusso, incipiente, non ormeggiato, non limitato, e quindi ostinatamente soggetto alle contorsioni dell’indicibile. Per quanto tali letture siano giustificate ermeneuticamente, esse rappresentano solo una dimensione di un’impresa eccessivamente complessa e polivalente. Per il testo postcoloniale – radicata nella erranza, multiforme, amorfo, e sicuramente meno acquiescente di sovversivo – sfata a priori le sovradeterminazioni unidimensionali o sprezzanti. Come tale, l’aspirante invendibile deve essere sfidato e trasgredito per accogliere un nuovo spazio in cui il lungo silenzio del passato è superato dal clamore di voci troppo a lungo ancorate nella sottomissione. Per Zobel, Oyono e Ousmane, la lotta per la liberazione metafisica e linguistica è coerentemente metaforizzata e piena di significanti generativi, comunque contaminati dal passato. Dalle vestigia dell’antica quiete emerge un controdiscorso: una nuova e irrevocabile poetica del trionfo postcoloniale.


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165 – Stilled Voices Unmuted
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"Ha diretto, curato e contribuito a diverse raccolte di saggi e pubblicato una vasta gamma di articoli accademici su riviste internazionali."
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